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Giovani Carmelitani ai tempi del Covid

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“Da una crisi come questa non si esce uguali, come prima: si esce o migliori o peggiori.”

Questo papa Francesco ha affermato subito dopo il “Regina Caeli” nella domenica di Pentecoste. Tirando le somme non ho la presunzione di dire che io sia diventato una persona migliore, ma sicuramente insieme ad altri ragazzi abbiamo acquisito un nuovo rapporto con Dio, con la nostra fede. Tutti noi credenti durante il lockdown abbiamo sentito la mancanza della messa, una funzione che davamo per scontata e forse anche per questo non riuscivamo ad apprezzarla veramente ed a capire realmente quale fosse la fortuna che noi uomini abbiamo e che gli angeli non possono beneficiare: l’eucarestia. Oltre a questo c’è chi nel gruppo ha sentito il bisogno di unirsi in preghiera in modo da sentirsi famiglia e concretizzare così la fede stessa in preghiera.

Con l’intento di alleviare la sete di celebrazioni nella casa del Signore, che una messa in streaming non riesce a dissetare appieno, con altri sei amici abbiamo  cominciato a pregare tutti insieme le mattine. Tutto è iniziato con una preghiera del gruppo giovani di Casa Serena, eravamo tantissimi ed è stata davvero una bella esperienza. In cuor mio, e penso anche in quello dei mie compagni di preghiera, ha mosso qualcosa facendoci desiderare di ripetere questa esperienza nuovamente. Sfortunatamente non tutti si sono uniti a noi causa lavoro o studio ma tutti i ragazzi del gruppo non hanno fatto altro che incitarci a continuare e a pregare per tutti; dandoci merito per quello che facevano e unendosi a noi volentieri quando ne avevano la possibilità. Perciò successivamente io, Michele,  Niccolò, Massimiliano, Eliseo, Gabriele e Mattia abbiamo iniziato a recitare la coroncina della Divina Misericordia prima, poi le lodi alla Madonna nel mese di maggio, per poi passare alla Novena dello Spirito Santo e concludendo con il rosario che tutt’ora svolgiamo quotidianamente.

La cosa bella che abbiamo scoperto è che pregare in compagnia non solo aiuta a ricordarci di dedicare tempo a chi ci ama più di chiunque altro, Dio, ma anche il fatto che pregare quotidianamente allevia davvero le fatiche e i pensieri negativi che affliggono chiunque di noi. Come un bambino stanco cerca conforto e tranquillità tra le braccia della mamma, anche noi facciamo lo stesso afflitti dalle nostre tribolazioni cercando riparo nella nostra Madre Celeste. Con questa volontà ogni giorno ad un’ora precisa ci siamo collegati tutti su skype per poter svolgere questa iniziativa dandogli quindi una certa regolarità. Sì, con la stessa regolarità con cui si pranza e si cena ogni giorno bisogna farlo anche nel nostro appuntamento con Dio. L’importanza del rapporto quotidiano con il Padre è stata sottolineata dal nostro incontro con il vescovo di Prato, Giovanni Nerbini. Già, il vescovo ! Giorni fa la nonna di uno di noi, Mattia, informata della nostra iniziativa e colpita dalla nostra costanza ha deciso di inviare una mail al vescovo di Prato. Quest’ultimo non ha tardato a rispondere mostrandosi molto interessato a volerci conoscere in modo da capire cosa abbia spinto sette ragazzi a svolgere ogni giorno questa attività. L’incontro è stato molto costruttivo e si è basato su due tematiche. La prima riguarda la nostra iniziativa ovviamente.

Ci siamo presentati a sua eccellenza, abbiamo raccontato il motivo che ci ha spinto a fare ciò e poi tutti insieme abbiamo meditato su quello che la pandemia ha portato nelle nostre vite. Don Giovanni ha evidenziato come la pandemia non abbia fatto altro che dimostrare tutta la nostra fragilità andando a scalfire quella finta armatura, che credevamo fosse impenetrabile, costituita da progresso scientifico e, se me lo concedete, anche un po arroganza nel considerarsi invincibili. Le chiavi per uscirne sono sempre le stesse che come un balsamo alleviano tutte le sofferenze della nostra vita: il Verbo e lo Spirito Santo. Concetto che il vescovo ci ha chiaramente fatto intendere. Niccolò è stato molto colpito dal discorso fatto sullo Spirito Santo. Questo è stato descritto come sinonimo di fortezza, consiglio e pace che ci indica la retta via da percorrere. Ma la metafora che mi ha colpito di più è stata quella di paragonare l’Eucarestia  ad un solitario. La celebrazione del corpo Cristo si trova tra due momenti, quello in cui Gesù dice che qualcuno lo tradirà e quello in cui dice che qualcuno lo rinnegherà. Così come capita di discutere su chi debba tenere l’anello di fidanzamento se lei o lui, in seguito alla fine del rapporto, Gesù invece si divide tra entrambi. Si dona gratuitamente anche a chi gli fa del male, anzi, soprattutto a chi gli fa del male.

Questa concezione è tanta meravigliosa quanto non umana. È impossibile comprenderla con quella che è la nostra concezione delle cose, del mondo.La seconda tematica affrontata con il vescovo è legata alla santità. Sua eccellenza ci ha raccomandato di leggere la vita dei santi perchè loro erano come noi persone normali che hanno semplicemente donato la loro vita a gli altri. Ha fatto due esempi molto interessanti. Il primo è sant’Antonio da Padova, festeggiato recentemente, il quale paragonò tre tipi di amore che proviamo alle uova deposte ogni primavera dall’aquila. Gli amori provati dall’uomo sono per sè stessi, per gli altri e per Dio. Così come il volatile tende a gettare una delle tre uova dal nido perchè sa di no riuscire a crescere tutti e tre i pulcini, così noi gettiamo uno degli amori dal nostro cuore che alla fine non è altro che un nido.

Il senso del paragone è presto detto: il santo è colui che butta via l’amore per sè stesso facendo crescere solo quello per gli altri e per Dio. Una metafora che ha lasciato tutti noi che ascoltavamo di stucco. Michele invece è stato colpito dal racconto di un altro santo, Charles de Foucauld, un uomo che inizialmente conduceva una vita molto frivola e piena di distrazioni che però non riuscivano a renderlo veramente felice. Pian piano arrivò a capire che magari poteva saziarlo solo qualcosa di spirituale, di puro, di vero. Ecco che iniziò ad avvicinarsi al cattolicesimo e la conferma di questa sua fede l’ottenne leggendo gli scritti di Santa Teresa d’Avila. La sua fede, il suo amore per Dio, fu così grande che ad un certo punto della sua vita andò a vivere nel deserto del Sahara dedicando undici ore al giorno alla preghiera. Lui parlava con chiunque passasse da quella zona dicendo del grande tesoro che possedeva e che era intenzionato a condividere, Dio.

Sfortunatamente i predoni del deserto pensavano che fosse una ricchezza materiale e lo uccisero cercando di accaparrarsi il tesoro che non trovarono. Un’altra cosa interessante di questo santo è che ha ottenuta la santificazione solo recentemente grazie al ritrovamento del suo diario in cui scriveva di Dio e degli esercizi spirituali che praticava. Questo lascia intendere qualcosa di più profondo; le cose di Dio non si possono tenere nascoste per sempre, prima o poi torneranno sempre alla luce.Don Giovanni ci ha infine salutato esortandoci a leggere la vita dei vari santi in modo da coltivare l’ambizione di arrivare il più vicino possibile a questi esempi di vita. Quella con il vescovo è stata una bella esperienza, gratificante aggiungerei. Vedere come uno degli esponenti ecclesiali di rango alto si sia interessato all’esperienza di fede umile e semplice di un gruppo di ragazzi, incuriosito da questo particolare gesto, mi fa venire in mente un concetto: la vera bellezza sta nei piccoli gesti. Piccole azioni, soprattutto verso gli altri, ci fanno avvicinare sempre di più, gradino dopo gradino, in cima a quella scala che rappresenta il cammino verso la santità che Dio ci chiama a raggiungere.

Luca Molinaro

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