Il Foglio Settembre 2010

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SETTEMBRE 2010

Miseria umana e perfezione divina

di P. Agostino Bartolini

Il Padre della Chiesa, S. Agostino, nelle sue preghiere ripeteva: “Signore che io conosca te e conosca me”, il serafico S. Francesco d’Assisi ripeteva: “Signore Iddio, chi sei tu e chi sono io?”.
La conoscenza di Dio è indispensabile per amarlo, non si ama chi non si conosce, quindi per amarlo e servirlo nella piena osservanza della sua parola per tutto il corso dell’esistenza terrena e per andare poi a goderlo eternamente in Paradiso.
Vi è pure bisogno della conoscenza dell’uomo, della conoscenza di sé stesso al fine di stabilire – per quanto possibile – un giusto rapporto tra Dio creatore e l’uomo creatura, fra Dio santo dei santi e l’uomo peccatore, fra Dio l’eterno e l’uomo mortale, fra Dio onnipotenza, onniscienza e provvidenza e l’uomo misero, limitato e bisognoso di tutto.
Soltanto in una conoscenza di Dio e in una conoscenza di sé si può stabilire il giusto rapporto di adorazione e con tutto ciò che questa sottintende e comporta.
Cominciando col parlare della miseria umana, l’uomo va veduto e considerato anche sotto l’aspetto positivo, ma questo, a Dio piacendo, lo faremo in una conversazione a parte.
Per arrivare alla conoscenza, almeno relativa, della miseria umana non vi è bisogno di molti ragionamenti, di indagini, di esami e di analisi; basta che diamo un sincero sguardo a noi stessi, ai nostri vicini, all’umanità intera e ci convinciamo, ben presto, che molti sono i difetti e le miserie dell’uomo nell’ordine materiale, in quello morale e in quello spirituale.
Rifacciamoci dalla sentenza del Creatore appena l’uomo ebbe ammessa la sua colpa di origine nel Paradiso terrestre e si accorse di essere ormai nudo: “Disse alla donna: moltiplicherò le tue gravidanze, con dolore partorirai i tuoi figli, verso tuo marito sarà il tuo istinto ma egli ti dominerà. All’uomo disse: poiché hai ascoltato la voce della tua moglie e hai mangiato del frutto di cui ti avevo detto di non mangiarne, maledetto sia il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai cibo per tutti i giorni della tua vita. Spine e cardi produrrà per te e mangerai l’erba campestre. Col sudore della tua fronte mangerai il pane finché tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e polvere ritornerai.” (Genesi 3, 16-19).
Altro celebre personaggio biblico che ha fatto molteplici esperienze, specialmente nel dolore, nella miseria e nelle angosce di ogni genere è Giobbe, ascoltiamo come egli si esprime in un suo sfogo riguardo a sé stesso: “L’uomo, nato da donna, breve di giorni e sazio di inquietudine, come un fiore spunta e avvizzisce, fugge come l’ombra e mai si ferma. Tu, Signore, sopra un tale essere tieni aperti i tuoi occhi e lo chiami a giudizio presso di te? Chi può trarre il puro dall’immondo? Nessuno. Se i suoi giorni sono contati, se il numero dei suoi mesi dipende da te, se hai fissato un termine che non può oltrepassare, distogli lo sguardo la lui e lascialo stare finché abbia compiuto, come un salariato, la sua giornata! Poiché anche per l’albero vi è speranza, se viene tagliato ancora ributta, e i suoi germogli non cessano di crescere; se sotto terra invecchia la sua radice e dal suolo muore il suo tronco, al sentore dell’acqua egli rigermoglia e mette rami  come nuova pianta. L’uomo, invece, se muore giace inerte, quando il mortale spira dov’è?”. (Giobbe 14, 1-10).
Anche il grande profeta Geremia, nello svolgimento del difficile mandato affidatogli da Dio, trova enormi difficoltà ed esperimenta angosce mortali, ecco come si esprime: “Me infelice, mia madre, che mi ha partorito, oggetto di litigio e di contrasto per tutto il paese! Non ho preso prestiti, non ho prestato a nessuno, eppure tutti mi maledicono. Forse, Signore, non ti ho servito del mio meglio, non mi sono rivolto a te con preghiere per il mio nemico nel tempo della sventura e nel tempo dell’angoscia? Non mi sono seduto per divertirmi con le brigate dei buontemponi , ma spinto dalla tua mano sedevo solitario, poiché mi avevi riempito di sdegno. Il mio dolore è senza fine e la mia piaga incurabile non vuole guarire? Tu sei diventato per me un torrente infido, dalle acque incostanti.” (Geremia 15, 1-18).
Dopo le tre testimonianze bibliche sopra riportate, penso che non ci siano dubbi sull’universalità, la continuità nel tempo  e sulle dimensioni della miseria umana.
Portiamoci ora, con desiderio e con gioia, a contemplare qualcosa anche se poco riguardo alla perfezione Divina, al fine di consolarci e di affidarci a Dio con fiducia nella speranza di avere da Lui luce, forza, consolazione e speranza.
Rifacciamoci dal nome proprio di Dio, il nome che Dio rivelò a Mosè e col quale ordinò di essere presentato al faraone, il re dell’Egitto, perché lasciasse partire dalla sua terra il popolo di Israele verso la terra promessa.
Mosè a Dio: “Se mi diranno: chi è che ti manda? Come si chiama? Io cosa risponderò loro? Dio disse a Mosè: Io sono colui che sono. Poi disse: dirai agli israeliti: IO-SONO mi ha mandato a voi.” (Esodo 3, 13-14).
“Io sono colui che sono” significa la pienezza dell’essere, il Perfettissimo, il Santo dei santi, la pienezza della potenza, della sapienza, della bontà, della provvidenza, la pienezza della divinità, l’eterno.
Nella lingua ebraica il suddetto nome di Dio era espresso con la parola “IAHWEH” e riscuoteva un rispetto ed una venerazione tanto grande che veniva pronunciato una sola volta all’anno dal sommo sacerdote ebraico nel giorno dell’espiazione.
Per nominare Dio gli ebrei  usavano altri termini principalmente “Eloim”, “Eli”, o “Adonai”.
Appoggiandoci alla divina rivelazione, esprimiamo il nome di Dio con onnipotenza creatrice e conservatrice, sapienza ordinatrice, virtù che purifica, rinnova e santifica, onniscienza che tutto vede e tutto scruta fin nel più profondo del pensiero e del sentimento, provvidenza che distribuisce a tutti e a tutto quanto occorre per la vita ed il fine di ciascuno, armonia che dona calma ed equilibrio, amore che si dona, che dona vita, salvezza e gloria, volontà che salva e dona pace, bellezza infinita che estasia. Soprattutto atteniamoci all’evangelista Giovanni, Dio è l’amore sommo, l’amore eterno, l’amore indefettibile, l’amore che tutto circonda, che tutto abbraccia, che tutto penetra per essere tutto in tutti.

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