Il Foglio Febbraio 2011
FEBBRAIO 2011
SOLITUDINE
di P. Agostino Bartolini
Dare una definizione alla parola “solitudine” rimane impresa difficile perché con tale vocabolo esprimiamo una grande molteplicità di situazioni e di stati d’animo e di stati psicologici nei quali una persona può venire a trovarsi durante il durante il corso dell’esistenza terrena.
E’ noto a tutti che la parola “solitudine” ha una grandissima estensione di aspetti che vanno dalla tranquillità interiore dell’uomo alla sua disperazione, dalla sua esaltazione ascetica alla sua depressione psicologica che lo porta alla disperazione e lo può indurre al compimento di un gesto insano qual è il suicidio.
Andiamo ora con calma e per quanto ci è possibile ad esaminare qualcuno o alcuni dei tanti aspetti sotto i quali si può presentare questa situazione dell’uomo nei vari casi e nei vari tempi della sua esistenza sulla terra.
Partiamo dal significato più bello, cioè da quello visto e desiderato da chi cerca di estraniarsi dalle persone e dalle cose di questo mondo per il desiderio sincero e profondo di libertà, di quiete, di raccoglimento per dedicarsi allo studio, alla preghiera, alla meditazione, alla contemplazione, ad una forma di ascesi come si legge nella vita e negli insegnamenti dei santi solitari ed eremiti che vi sono sempre stati in ogni tempo, in ogni epoca della storia della Chiesa.
Per renderci conto di quanto stiamo dicendo, basta che leggiamo la storia del monachesimo dei primi secoli della Chiesa e la prassi di molti ordini monastici sorti dopo, quali sono i benedettini, i camaldolesi, i vallombrosani, i trappisti ed altri che hanno lasciato un’eredità preziosa nelle loro regole ed un esempio luminoso nei molti loro santi. Le persone ed i movimenti religiosi citati sopra non ci presentano esempi di solitudine assoluta. Accento ad essi ed in mezzo ad essi vi è la certezza di una presenza divina che riempie pienamente il vuoto umano, anzi questa presenza divina si fa sentire più e meglio in proporzione al vuoto lasciato dagli uomini e dalle cose.
Anche fuori dal cristianesimo si sono avuti, e si hanno tuttora, esempi di persone che si allontanano da tutti e da tutto, cercano la solitudine in un monastero solitario per incontrarsi meglio con la divinità, per contemplarla, per immergervisi, per unirsi più strettamente ad essa, per unirsi e per sparire in essa mediante un continuo e forte esercizio di volontà, mediante un’assidua ed austera prassi ascetica per giungere ad una maggiore purificazione e liberazione interiore,per giungere ad un godimento più spirituale e perfetto della divinità come ognuno la crede e la vive.
Anche nella vita ordinaria di ogni giorno, ciascuno sente il bisogno, almeno ogni tanto, di ritirarsi in disparte per avere un relax, una quiete, un riposo, un recupero di energie, un contatto più immediato con la natura alfine di recuperare le energie fisiche, intellettuale e spirituali logorate dal ritmo intenso dell’impegno e dell’attività della vita quotidiana.
Oltre la solitudine di cui abbiamo sopra, solitudine che non si può chiamare tale, ma piuttosto va considerata come raccoglimento e riposo, vi è un’altra solitudine. La vera solitudine che si esprime in uno stato d’animo senza valori, vuoto, l’impressione, la convinzione e la sensazione di essere soli pur vivendo ed operando in mezzo alla gente; una solitudine interiore, mentale e psicologica. Una solitudine che mina, indebolisce ed a volte distrugge l’uomo e lo porta a gesti irragionevoli o inconsulti.
Di questi casi di solitudine interiore, o depressine psicologica, ne riscontriamo un discreto numero nel nostro tempo che pure si vanta di aver raggiunto punte molto avanzate nel campo della libertà, della tecnica, della scienza, in tutto quanto riguarda la vita sociale del momento attuale.
E’ questo un fatto che merita e deve essere preso in seria considerazione, studiarne le cause e i modi di comportamento, approfondire quei rimedi che, tutto sommato, saranno ritenuti validi allo scopo e farne una verifica. Certamente il benessere materiale non è tutto.
E’ sempre valida l’affermazione della Sacra Scrittura: “Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”. L’uomo è materia e spirito, per stare in piedi e vivere non gli occorre solamente avere quanto ha bisogno per la vita quotidiana, ma ha bisogno prima di tutto di qualcosa, di valori sicuri, che riempiano la sua mente, il suo cuore, il suo spirito, il suo presente e il suo futuro. Un sacco pieno sta in piedi, un sacco vuoto cade, così è l’uomo. L’uomo ha bisogno di sentirsi vicino qualcuno che lo pensi, che lo cerchi, che lo ami veramente e lo aiuti nel bisogno, da parte sua l’uomo ha bisogno di stare vicino ad altri per conoscerli, vivere ed operare con loro, per amarli sinceramente, per preoccuparsi di loro ed aiutarli secondo il bisogno del momento.
L’egoismo e l’eccessivo individualismo, l’isolazionismo, l’indifferenza verso gli altri non giovano a nessuno, anzi sono destabilizzanti. L’uomo deve convincersi che ha bisogno degli altri per la sua crescita, per la sua realizzazione, per la sua pace e la sua sicurezza, come pure gli altri hanno bisogno di lui.
La sincera considerazione di sé ed una discreta dote di umiltà sono un’ancora di salvezza nel burrascoso mare del mondo in cui l’uomo si trova. Vi è bisogno, per ogni uomo, di avere degli ideali, essere ricco di valori culturali, morali e spirituali, di avere una base ed un contenuto solido e valido per non essere trascinato via dalle tempeste di vario genere che lo investono.
L’uomo è sicuro nella comunità e deve impegnarsi a fare comunità: questa è la legge della creazione.
Ascoltiamo dalla Sacra Scrittura: “Meglio essere in due che uno solo, perché due hanno un miglior compenso nella fatica. Infatti, se vengono a cadere, uno rialza l’altro. Guai invece a chi è solo: se cade non ha nessuno che lo rialzi, se due dormono insieme si possono riscaldare, ma uno solo come farà a riscaldarsi? Se uno aggredisce, in due gli possono resistere e una corda a tre capi non si rompe tanto presto.