Il Foglio Gennaio 2014

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GENNAIO 2014

IL DONO DI SE’

di P. Agostino Bartolini

 

L’evangelista Giovanni, il discepolo che Gesù amava e che la sera dell’ultima cena, nel Cenacolo, posò la testa sul petto di Gesù che gli era accanto, nella sua 1° Lettera ha questa definizione riguardo a Dio: “Dio è amore, chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui”.

Dio, allora, essendo amore agisce da pari suo; infatti il medesimo discepolo, riportandoci le parole di Gesù a Nicodemo che era andato a trovarlo di notte, dice: “Dio ha tanto amato il mondo (nella parola “mondo” vanno intesi prima di tutto gli uomini) da mandare il Figlio suo nel mondo, non a giudicarlo, ma affinché chi crede in Lui non perisca ma abbia la vita eterna”.

Gesù è vero Dio in tutto uguale al Padre ed una cosa sola con Lui, e come Dio è la vita, la luce, la pienezza dell’essere e l’”IO SONO”, come vero uomo nato da Maria vergine per opera dello Spirito Santo è in tutto uguale a noi, eccetto che il peccato.

Gesù afferma che Egli è venuto nel mondo perché gli uomini abbiano la vita, e l’abbiano in abbondanza; ancora il Vangelo ci rivela  il suo amore per gli uomini con le parole: “Avendo Egli amato i suoi, volle amarli sino all’estremo”. Fino all’estremo limite per un dio che, come tale, non ha né limiti, né confini.

Ancora, riportandoci le parole di Gesù all’inizio della sua Ultima Cena, il Vangelo ci riporta precise le parole del Maestro che esprimono il suo amore per i discepoli ed il suo vivo desiderio di stare con loro: “Ho desiderato tanto mangiare questa Pasqua con voi prima della mia passione”. L’amore agisce da pari suo e per natura è portato a diffondersi, è portato a donare e a donarsi per unirsi alla persona amata al fine di trasfondersi in essa ed assimilarla ed unirla intimamente a sé, così saranno due in un solo spirito, lo spirito di Dio, lo spirito di Cristo. Come il sole, per natura sua, diffonde continuamente luce e calore e così da vita e bellezza, così Gesù Cristo, in misura straordinariamente più grande e più perfetta.

Gesù, che è il Verbo di Dio, e come tale esiste dall’eternità, ma non si era ancora manifestato agli uomini, si era manifestato agli angeli ed era come loro cibo, ma cosa dice la scrittura? “L’uomo ha mangiato il Pane degli Angeli” (Salmo 77, 25).

Nella pienezza dei tempi Cristo, il Verbo Eterno del Padre, si è fatto Emmanuele – Dio con noi – per donare all’uomo quel pane del cielo che chi ne mangia non muore. Cristo è la vita, come tale si dona all’angelo in un modo  che noi non conosciamo, ma si dona perché l’angelo abbia la vita, all’uomo Cristo, il Pane Celeste, si dona con l’offerta del suo corpo e del suo sangue sacrificato e sparso sulla croce quale vero agnello pasquale. Carne e sangue stanno per tutta la persona: spirito, anima e corpo; riguardo a Cristo: la sua santissima umanità, unita isostaticamente o personalmente alla sua divinità.

Nel sangue, secondo il linguaggio biblico, vi è la vita. “La carne da sola non giova a nulla, solo lo spirito di Dio dona la vita. Le parole che vi ho detto – afferma Gesù – vengono dallo Spirito di Dio”.

La vita trasmette se stessa ed è perciò germe fecondo di resurrezione eterna. Gesù, per amore del Padre ed ubbidiente alla sua volontà, è venuto per dare la vita agli uomini, pertanto il sacramento del Suo Corpo e del Suo Sangue comunica la vita a chi lo riceve con fede e con amore.

Ascoltiamo Gesù stesso: “E’ questa la volontà del Padre che mi ha mandato: che io non perda nessuno di quelli che mi ha dato, ma lo resusciti nell’ultimo giorno. Io sono il pane che da la vita. Io sono il pane, quello vivo, venuto dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà per sempre, il pane che io gli darò è il mio corpo, dato perché il mondo abbia la vita. Il Padre è la vita: io sono stato mandato da Lui e ho la vita grazie a Lui; così, chi mangia me, avrà la vita grazie a me. Questo è il pane venuto dal cielo. Chi mangia il mio corpo e beve il mio sangue ha la vita eterna ed io lo risusciterò nell’ultimo giorno, perché il corpo è vero cibo ed il mio sangue è vera bevanda”. (Dal cap. 6 di Giovanni).

Nell’Ultima Cena Gesù esprime con un’immagine  la realtà di questo mistero ed afferma: “Io sono la vera vite. Come il tralcio non può fare frutto da solo, se non rimane unito alla vite, neppure voi potete fare frutto se non rimanete uniti a me. Io sono la vite, voi tralci. Se uno non rimane unito a me è gettato via come i tralci che diventano secchi e che la gente raccoglie per bruciare”. (Giov. 15, 1-6).

Come dalla vite la linfa vitale è comunicata ai tralci, e questi producono fiori, foglie e frutti, così anche Cristo, mediante il dono del suo corpo e del suo sangue, vale a dire mediante il dono di sé all’uomo, trasfonde e comunica a lui la sua vita.

Facciamo un altro paragone a questo riguardo nell’intento di capirci qualcosa di più. La madre nutre del suo sangue e del suo corpo, cioè di sé, il figlio che porta nel seno il quale è attaccato a lei mediante il cordone ombelicale che rappresenta l’amore. Il frutto del concepimento, così alimentato nel seno materno, dallo stato embrionale, raggiunge la sua formazione, la sua crescita normale e viene alla luce.

Così noi, se restiamo uniti a Cristo mediante l’amore, Egli, per virtù sua, ci porta alla perfezione, alla resurrezione, alla vita eterna.

Ascoltiamo – dall’apostolo Paolo – il racconto dell’istituzione di questo mirabile sacramento che è mezzo di grazia e di salvezza: “Nella notte in cui fu tradito, il Signore Gesù, prese il pane, lo spezzò e disse: questo è il mio corpo che è dato per voi. Fate questo in memoria di me. Poi, dopo aver cenato fece lo stesso col calice. Lo prese e disse: questo calice è la nuova alleanza che Dio stabilisce per mezzo del mio sangue. Tutte le volte che berrete, fate questo in memoria di me. Infatti, ogni volta che mangiate questo pane e bevete da questo calice, voi annunziate la morte del Signore fino a quando Egli tornerà”. (I° Corinti 11, 23-26).

 

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